Biodiversity (biodiversità)
di Paola Peresin
COSA SIGNIFICA
Storicamente, il pensiero della civiltà occidentale è frutto della matrice culturale greca e latina dove la poesia e la scienza hanno sempre proceduto unite, senza alcuna dicotomia. Utile ricordare come Galileo Galilei (fondatore del metodo scientifico) non sarebbe stato così grande se non fosse stato anche un maestro di retorica (per Italo Calvino, Galileo non è solo un grande scienziato e un grande filosofo, ma il più grande scrittore della letteratura italiana) e come Giacomo Leopardi scrisse una storia dell’astronomia.
Sono state le grandi conquiste scientifiche della rivoluzione industriale di fine ’800 che hanno creato le basi per una specializzazione del sapere incarnata in varie discipline e professioni: tutto ciò ha portato a tentativi (in Italia riuscitissimi grazie ad un sistema scolastico in cui la scienza è totalmente assente e dove persiste l’impostazione idealistica della riforma Gentile in cui gli studi classici sono separati da quelli tecnologici e tecnici) di divaricazione tra la cultura umanistica e la cultura scientifica. È da questo momento storico che i diversi paesi europei reagiscono diversamente. Il 7 maggio 1959 Charles Snow, chimico per educazione e romanziere per vocazione, tenne una conferenza all’ università di Cambridge su “Le due culture e la rivoluzione scientifica” (divenuta un libro nel 1963) nella quale mise in guardia il governo britannico sulla necessità intellettuale e pratica di superare “la frattura insinuante tra la cultura umanistica e la cultura scientifica”.
Tralasciando il pur interessante dibattito storico filosofico e scientifico del secolo scorso riguardante i pericoli di sovrapporre ai diversi linguaggi del sapere le due culture (si fa ancora fatica a capire come l’intelligenza e la conoscenza siano un unico insieme definito “cultura” che rappresenta proprio la ricchezza e la complessità del sapere della nostra specie) è doveroso capire come l’incultura scientifica abbia generato, nel nostro paese, una società e una classe dirigente ancora permeata di sapere umanistico, conservatore e pervasivo che fa fatica a relazionarsi con quei principi di base scientifici, ampiamente metabolizzati in altri paesi, che rappresentano i pilastri dei valori e della conoscenza alla base delle regole sociali con le quali ognuno di noi si rapporta con il resto del mondo.
È in questo humus culturale italiano che nasce la visione antropocentrica che vede la nostra specie (e la sua produzione culturale) svincolata dal resto della natura. Se tale visione risulta superata nel suo significato storico (l’universo è stato creato per l’uomo e per i suoi bisogni), oggi una visione subdola di antropocentrismo si nasconde sotto l’egida del pensiero filosofico ecocentrista (la nostra specie è ancora svincolata dalla natura che assume, oggi a differenza di ieri, diktat frutto di un’etica sofisticata che non smette di commuoversi per il proprio buon gusto).
E così Biodiversità, Paesaggio, Ambiente e Sostenibilità sono parole dal preciso e profondo significato scientifico che nel linguaggio “culturale” perdono il loro valore e diventano spesso interscambiabili. Quindi la biodiversità viene confusa con i prodotti agricoli e con la ricchezza delle diverse cultivar del nostro territorio, la zoologia e la botanica nel linguaggio comune si fonde con la zootecnica e con attività di repressione forestale, l’ecologia con la gestione dei rifiuti, il paesaggio con l’ambiente e la sostenibilità come precetto morale.
Limitandoci al significato del termine biodiversità, utile ricordare come la nostra specie ha da sempre evidenziato una grande curiosità per tutte le altre creature viventi che ha cercato di nominare e catalogare secondo criteri che rappresentano le diverse conoscenze scientifiche nei secoli. La diversità della vita, che noi oggi chiamiamo biodiversità, è oggetto delle Scienze Biologiche da quando sono state formalizzate nella fine del XVIII° secolo, e una branca delle stesse, la Biologia della Conservazione, nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni ’70 proprio per misurare lo status e la tendenza della biodiversità considerata in pericolo (non a caso la Biologia della Conservazione è detta disciplina di crisi). Nel corso di questi quarant’anni, la Biologia della conservazione è una disciplina che si è estesa in tutti i continenti dove si è metabolizzata la necessità di affrontare le sfide per salvare dall’estinzione specie, ecosistemi ed ambienti interi, e proprio per rimarcare l’interesse verso la natura e l’ambiente, le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2010 l’Anno Internazionale della biodiversità (esteso successivamente all’intero decennio 2010-2020) e il 2011 l’Anno Internazionale delle Foreste.
Il lemma biodiversità è un calco dall’inglese e rappresenta il termine abbreviato per diversità della vita che comprende tutte le specie, la loro variabilità genetica, le comunità biologiche e le loro interazioni con la parte abiotica (non vivente) dell’ambiente. Dopo 40 anni di produzione scientifica internazionale, e di diffusione politica e sociale del termine BIODIVERSITA’ (E.O. Wilson è il primo che la conia nel 1988, ma è dopo la convenzione di Rio del 1992 che il mondo adotta la BIODIVERSITA’ come obiettivo biologico) la cultura del nostro paese fa ancora troppa fatica a metabolizzarla riducendo un sistema complesso, qual è appunto la biodiversità, ad un mero elenco di specie.
COSA FARE
Apprezzare la caustica eloquenza di una critica alle politiche ambientali, politiche purtroppo frutto di una cultura svincolata dalle leggi naturali; a differenza delle leggi umane (dalle leggi giuridiche a quelle etiche/morali) che cambiano velocemente nel tempo e nello spazio, le leggi scientifiche sono leggi conservative soggette alla nostra relativizzazione. Esse rappresentano la traduzione di buone intuizioni filosofiche in una serie di formulazioni falsificabili. È infatti la falsificabilità il criterio della scienza; una proposizione è scientifica se – e soltanto se – può essere messa in discussione dalla comunità degli scienziati medesimi e ciò corrisponde all’idea di fondo che impariamo soprattutto dai nostri errori. Tutto il Novecento è stato permeato dai difetti insiti nell’osservazione e nella percezione come strumenti per avere accesso alla realtà (paradossi sensoriali e della logica retorica fanno ormai parte della storia): farlo ora sarebbe il sintomo di un inganno che non ci possiamo più permettere. È opportuno quindi riflettere sulla necessità di traslare l’idea di un cambiamento ad un mondo che opera secondo leggi naturali che non funzionano secondo morali ed etiche che appartengono alla nostra specie.
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Verificata da Redazione LPDE
prima pubblicazione 22 MAGGIO 2022
aggiornamenti //

Immagine cover di Stefano Zattera, Il crossover improbabile (versione a colori maggio 2022).
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PAOLA PERESIN è biologa, lavora con Enti Locali e Università su aree afferenti alla Conservazione della Natura. Coordina i lavori di Habitatonline, spazio di ricerca e raccolta articoli nato con lo scopo di trattare temi che riguardano la biologia della conservazione, branca della biologia che studia scientificamente i fenomeni che influiscono sulla perdita, sul mantenimento e sul ripristino della biodiversità.