CAPITALOCENE

Capitalocene (crisi sistemica, era del capitale)

di Alice Dal Gobbo

COSA SIGNIFICA

L’idea di “Capitalocene” (accompagnata da una miriade di altri nomi che sono stati dati alla nostra epoca: Negrocene, Uomocene, Piantagionocene, Chthulucene, Wastocene…) nasce dalla ricezione del dibattito sull’Antropocene all’interno delle scienze umane e sociali, per problematizzarlo. Non si tratta di discuterne l’accuratezza e la veridicità su un piano strettamente scientifico. Ci si chiede piuttosto che cosa fa il discorso dell’Antropocene: che interpretazioni e risposte alla crisi ecologica favorisce.

Il concetto di Antropocene scardina, una volta di più, un dualismo fondante della modernità capitalista, quello tra Umanità e Natura, su cui per secoli si è fondato il dominio della prima sulla seconda. Ora, invece, l’essere umano si fa forza geologica tra le altre, attore naturale assieme ad altri. Ciò favorisce un modo più rispettoso di abitare la Terra? Sembra di no, e il discorso sul Capitalocene cerca di capire perché.

Si mettono in luce numerose criticità nel pensiero dell’Antropocene. Prima di tutto, si evidenzia che “anthropos” richiama ad un soggetto universale e indifferenziato, l’umanità, che si presume responsabile del degrado ambientale su scala planetaria. Per esempio, si presume che tutti gli esseri umani perseguano certi modelli di vita e sviluppo, che siano egoisti e incapaci di vivere in equilibrio con il resto della biosfera. Ciò oscura le differenze tra gli esseri umani. Molti soggetti rimangono esclusi dallo “sviluppo” moderno capitalista, e spesso lo rigettano. Le responsabilità per la crisi ecologica non sono quindi equamente distribuite (basti ricordare che i maggiori emettitori di CO2 sono sproporzionatamente i Paesi, e i singoli, più ricchi). Al contempo, le conseguenze del  cambiamento climatico e di altre forme di degrado ecologico sono pagate in modo sproporzionato da persone povere, in paesi poveri – e ancor di più se sono donne, o indigeni. Parlare di un’umanità indifferenziata nella crisi ecologica è in realtà una grave ingiustizia ambientale, sociale, climatica. Di qui, la necessità di trovare nomi alternativi alla nostra era, che diano conto della distribuzione iniqua di risorse, responsabilità e danni.

La narrazione dell’Antropocene presume una traiettoria omogenea comune a tutta l’umanità: un progresso guidato dallo sviluppo della scienza e della tecnica che porta ad un maggiore benessere attraverso il controllo delle forze naturali. Sicuramente, fenomeni come il cambiamento climatico suggeriscono che ci sono stati degli errori in questo percorso. Tuttavia, se l’umanità si è dimostrata così potente da alternare l’equilibrio della Terra attraverso la propria azione, allora potrà anche riparare al danno reindirizzando quegli stessi strumenti. La crisi ecologica e le risposte ad essa sono una questione tecnica. Così, si giustifica la continuazione dei modelli di sviluppo esistenti contemporanei e addirittura si intensifica l’azione degli apparati tecnoscientifici (per es. geoingegneria o ingegneria genetica). Il modello di dominio rimane invariato. Per questo, come dice Stefania Barca, quella dell’Antropocene è una “narrazione padronale”.

Il Capitalocene sposta sia l’analisi che le soluzioni su un piano prettamente politico, per guardare alla relazioni sociali di (ri)produzione attraverso cui la crisi si produce. Secondo le analisi dei suoi proponenti, come ad esempio Jason Moore e Donna Haraway, il degrado ecologico su scala planetaria che viviamo non sarebbe il risultato di questa o quella tecnologia, o dell’utilizzo di certe materie come per esempio i combustibili fossili. La crisi ecologica è innanzitutto il risultato dell’affermazione di un certo modo di organizzare le relazioni tra umani e non umani, degli umani tra sé. 

Il capitale, nella sua necessità di produrre profitto e continua espansione, ha subordinato tutto il Pianeta al proprio disegno, ha creato un regime ecologico globale profondamente insostenibile, ha imposto al vivente logiche (come quelle della competizione e della crescita infinita) che gli sono estranee. Il concetto di “Natura”, intesa come esterna alla civiltà, nasce con la nascita del capitalismo ed è, dice Moore, un progetto di classe: i soggetti proprietari definiscono un margine oltre cui tutto ciò che si trova è appropriabile e sfruttabile a piacimento. Non solo tutto ciò che non è umano, ma anche ciò che è meno-che-umano, ciò che non corrisponde al “soggetto” per definizione, il maschio bianco proprietario ed eteronormato: le donne, i soggetti non sessualmente conformi, quelli razzializzati. Il loro essere, il loro lavoro, è svalorizzato e così può essere appropriato e sacrificato per l’accumulazione; e tuttavia, è il più fondamentale, poiché rende possibile la riproduzione della vita.

Allora, per uscire dalla crisi non è sufficiente una “transizione ecologica” attraverso lo sviluppo di determinate tecnologie (come quelle cosiddette “verdi”) o la diminuzione della popolazione globale. Queste sono delle soluzioni tecniche che non guardano alle logiche profonde che hanno governato lo sviluppo insostenibile degli ultimi secoli. Invece, è necessario riconoscere che l’insostenibilità dei modelli di vita contemporanei è direttamente collegata a processi di accumulazione capitalistica e che, fino a che questi non saranno bloccati, il degrado e l’ingiustizia si riprodurranno sotto nuove forme.

COSA FARE

Interrompere i processi di valorizzazione e accumulazione capitalisti, sperimentando al contempo forme di vita più ecologicamente sensibili. Nella pratica quotidiana, per esempio, favorire modelli di economia alternativa, non proprietari e non volti alla crescita e al profitto, dove il controllo della produzione e del consumo sono nelle mani dei soggetti direttamente coinvolti. Sperimentare forme di sapere e tecnologie nuove, non più volte al dominio della natura ma alla co-abitazione (per es. permacultura), evitando di imporre un modello unico e superiore. Agire contro i soggetti che maggiormente determinano le politiche globali di sviluppo e “transizione” (per es. multinazionali del fossile, grande capitale finanziario, stati come loro veicoli). Generare convergenza con le lotte anticapitaliste in ambiti apparentemente differenti: lavoro, lotta al patriarcato, critica del debito – si tratta infatti di un’unica lotta.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE IN ITALIANO

Barca, Stefania. 2017. L’Antropocene: una narrazione politica. Riflessioni Sistemiche, 17. Disponibile su: https://www.ecologiepolitiche.com/percorsi/approfondimenti/lantropocene-una-narrazione-politica/

Chakrabarty, Dipesh. 2020. Le Environmental Humanities: Una Discussione Con Dipesh Chakrabarty. A cura di Roberta Biasillo and John Gardebo. Diacronie. Studi Di Storia Contemporanea 44 (4): 190–99.

Dal Gobbo, Alice e Emanuele Leonardi. 2019. Vedere L’Antropocene, Immaginare Futuri. Note Per Un Pensiero Critico Della Crisi Ecologica. Scienza & Filosofia 21: 138–53.

Ferdinand, Malcom. 2020. Per un’ecologia decoloniale. il lavoro culturale (blog). 8 June 2020. https://www.lavoroculturale.org/ecologia-decoloniale/aurore-chaillou-e-louise-robin/.

Kothari, Ashish, Ariel Salleh, Arturo Escobar, Federico Demaria e Alberto Acosta. 2021. Pluriverso: Dizionario Del Post-Sviluppo. Ed. Italiana a cura di Maura Benegiamo, Alice Dal Gobbo, Emanuele Leonardi e Salvo Torre. Napoli: Orthotes.

Haraway, Donna Jeanne. 2019. Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto. NOT! Nero Editions.

Moore, Jason W. 2015. Ecologia-mondo e crisi del capitalismo: la fine della natura a buon mercato. Edited by Gennaro Avallone. Verona: Ombre Corte.

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consegna scritta da Alice Dal Gobbo a seguito dell’incontro del 10 giugno 2021

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Verificata da Redazione LPDE
prima pubblicazione 6 LUGLIO 2021
possibili aggiornamenti // a seguire

Immagine Cover di Sfefano Zattera, tratta da PIPES WORLD.

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ALICE DAL GOBBO è Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento. Scrive per diverse testate impegnate su temi di giustizia climatica, critica alla transizione ecologica e allo sviluppo sostenibile, su questioni di genere e nuovi colonialismi, come GlobalProject ed Effimera.

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